sabato 25 agosto 2012

Spazzatura preziosa. Il tesoro dell’ecomafia



Spazzatura preziosa. Il tesoro dell’ecomafia
ecomafia
Dal camorrista imprenditore all’imprenditore camorrista. Uomini d’affari apparentemente impeccabili aprono le porte ai clan mafiosi. Fa gola il business dei rifiuti: 3,3 miliardi di euro. E l’ecomafia si evolve: dalla discarica al riciclo.

"Ci getti monnezza ed esce oro". La celebre frase di un camorrista, intercettata dagli inquirenti ormai vent’anni fa, deve essere risuonata particolarmente familiare ad Antonello Pianigiani.

Il noto imprenditore, presidente della Pianigiani Rottami e del Poggibonsi Calcio, è tra gli arresti eccellenti dell’operazione Trans - formers, l’ultima in ordine di tempo sul traffico illecito di rifiuti. Le manette sono scattate lo scorso 13 marzo, all’interno dell’operazione coordinata dai Carabinieri del Noe di Grosseto, partita da Siena ed estesa a mezza Italia: Toscana, Puglia, Umbria, Emilia Romagna, Lazio e Molise.

Non si trattava esattamente di “monnezza” bensì di rifiuti provenienti dalla rottamazione di veicoli, che venivano poi utilizzati dalla Pianigiani Rottami come base per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (Cdr). Il Cdr contiene sostanze dannose per la salute e per l’ambiente, ma veniva classificato come non pericoloso dall’azienda, che secondo gli inquirenti innescava così un traffico illecito di rifiuti pericolosi. Un giro d’affari da 5 milioni di euro per un totale di 50 mila tonnellate trafficate illegalmente e destinate alle discariche di tutta Italia.
L’imprenditore camorrista L’accusa ai danni di Pianigiani è di traffico illecito di rifiuti pericolosi e di associazione a delinquere. Ma i rifiuti non erano prerogativa delle nostre mafie? Secondo gli inquirenti e gli esperti del settore la figura del “camorrista imprenditore” si è ormai estinta. Il ruolo di primo piano in questo lucroso traffico illecito, capace di generare un fatturato di 3,3 miliardi di euro nel 2010 (secondo il Rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente), è oggi ricoperto dall’“imprenditore camorrista”. Si tratta di imprenditori a tutti gli effetti, titolari di aziende regolarmente registrate con partita Iva, che pagano le tasse e stipendiano i propri dipendenti e che all’apparenza hanno bilanci trasparenti.
La crisi o la prospettiva di ingenti guadagni apre crepe in cui si insinua il clan mafioso. L’imprenditore camorrista è «uno che sta a disposizione del clan», come lo descrive il pentito Gaetano Vassallo.
«Mentre 20-30 anni fa il camorrista si dedicava anche a questo ambito economico – spiega il sostituto procuratore presso il Tribunale di Napoli, Maria Cristina Ribera – oggi ci troviamo di fronte a soggetti che formalmente non hanno nessun contatto con la criminalità organizzata. Il rapporto tra i due è molto complesso e molto spesso è assai difficile dimostrarlo giudiziariamente».
Si complica quindi il contrasto alla criminalità organizzata nel settore delle imprese, anche perché spesso sono realtà che non hanno incontrato difficoltà nell’ottenimento del certificato antimafia. C’è poi il caso in cui un unico soggetto racchiuda i ruoli di mafioso, imprenditore e politico. Un soggetto in grado di tirare i fili di un sistema criminale quasi perfetto.
È l’accusa che muove la procura antimafia di Napoli contro Nicola Cosentino, «rinviato a giudizio alla fine del 2010 per concorso esterno in associazione mafiosa: sottosegretario all’Economia, imprenditore del settore degli idrocarburi, sponsor politico del Consorzio dei rifiuti Caserta4 e, secondo i magistrati, legato al clan dei Casalesi, fazione Bidognetti».
I nuovi attori Ma le ecomafie del terzo millennio sono anche e soprattutto costituite dai colletti bianchi: imprenditori, ingegneri, avvocati, funzionari pubblici e notai in grado di mettere in campo un know-how tecnico e una rete di relazioni – nel mondo imprenditoriale e politico – indispensabile. E se gli attori cambiano pelle, anche le rotte si spostano. Il Rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente ha evidenziato come la tipica direttrice lineare nord-sud sia ora affiancata da una rotta circolare, capace di coinvolgere tutte le regioni italiane, a eccezione – per ora – della Valle d’Aosta.
È così che, per esempio, i rifiuti pugliesi finiscono in Emilia Romagna, come rivelato dall’operazione Clean cars nel maggio 2010. L’ecomafia dunque si sta evolvendo, anche nella tendenza ad abbandonare il modello delle megadiscariche abusive e puntare maggiormente sulla filiera del riciclo. È, infatti, piuttosto alta l’attenzione mediatica e sociale sul traffico di rifiuti, le discariche abusive danno nell’occhio e le conseguenze sulla salute delle popolazioni limitrofe accendono riflettori che gli ecocriminali non vogliono.
E, se intere zone dell’Italia sono sature di rifiuti e definitivamente compromesse – è il caso del “triangolo della morte” dell’agro nolano, tra i comuni di Nola, Acerra e Marigliano, dove l’indice di mortalità per tumore al fegato ogni 100 mila abitanti sfiora il 35,9% per gli uomini e il 20,5% per le donne, rispetto a una media nazionale che è del 14% – allora spesso conviene portare i rifiuti oltre i confini nazionali. Intere navi cargo, colme di rifiuti, salpano dai porti di Taranto, Venezia, La Spezia, Napoli, Trieste e Ancona (per citarne solo alcuni) dove nel solo 2010 le dogane hanno sequestrato oltre 11.400 tonnellate di rifiuti.