giovedì 4 ottobre 2012

Ciancimino, è caccia al tesoro (nei rifiuti)


fonte: espresso
di Emiliano Fittipaldi
Irruzione dei carabinieri a casa di Massimo, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo: i pm di Roma cercano di bloccare la vendita della discarica romena in cui sono stati investiti più di cento milioni di euro di provenienza illecita
Massimo Ciancimino
Massimo Ciancimino

I carabinieri del Noe, comandati dal colonnello Ultimo sono alla caccia del tesoro di Vito Ciancimino, l'ex sindaco democristiano e mafioso di Palermo morto nel 2002.


L'operazione è scattata la mattina di giovedì, quando - su mandato della procura di Roma - i militari sono entrati in casa del figlio Massimo Ciancimino e di altri imprenditori e prestanome, alla ricerca di carte, file e documenti sulla Ecorec Sa, società rumena che gestisce la discarica di Glina vicino Bucarest, attualmente il più grande sversatoio d'Europa.



Secondo gli investigatori la proprietà della Ecorec Sa (che è valutata circa 115 milioni di euro) è in realtà riconducibile proprio a Massimo Ciancimino, che anni fa avrebbe reinvestito nel business dei rifiuti romeni - grazie a società di copertura e utilizzando imprenditori compiacenti come prestanome - le enormi somme di denaro di provenienza mafiosa accumulate negli anni dal padre Vito, ex boss di Cosa Nostra dell'ala corleonese.



Che il tesoro di Don Vito fosse finito in Romania era già emerso chiaramente in un'altra d'indagine della procura di Palermo, che aveva scoperto come il figlio del sindaco amato da Bernardo Provenzano, con l'aiuto di Giorgio Ghiron e del commercialista Gianni Lapis aveva investito in vari business energetici parte dei soldi del padre (tutti furono condannati in via definitiva per riciclaggio e intestazione fittizia). 



L'indagine sulla discarica in Romania e il patrimonio occulto di Ciancimino all'estero parte invece nel 2007: la procura di Palermo (che, ricordiamolo, ha avuto Massimo Ciancimino tra i suoi collaboratori in merito all'indagine sulla presunta trattativa Stato-mafia) ne ha chiesto l'archiviazione il 14 aprile del 2011. «Le indagini oggetto del procedimento penale non hanno consentito di acquisire elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio», spiegarono i pm. Il gip Piergiorgio Morosini un anno dopo ha però respinto la richiesta, ordinando ulteriori approfondimenti in Romania. 



Mentre Palermo lavorava con lo Scico, parallelamente la procura dell'Aquila e il Noe intercettavano nell'ambito di un'inchiesta sui rifiuti gli stessi personaggi indagati in Sicilia.



L'inchiesta poi è finita a Roma. Dove oggi gli investigatori ipotizzano che Ciancimino junior e i suoi sodali da qualche mese stessero brigando per vendere la discarica e la Ecorec a una società straniera, la Ecovision International, in modo da monetizzare il capitale, «disperderne le tracce» (si legge nel decreto di perquisizione) e rendere più difficile il lavoro dei magistrati che stanno indagando sull'origine mafiosa del tesoro di papà Vito.



Massimo Ciancimino, l'imprenditore Raffaele Valente che risulta titolare dell'82 per cento delle quote della società, l'altro presunto prestanome Sergio Pileri, il gestore della discarcia Victor Dombrovschi, la collaboratrice di Ciancimino Santa Sidoti («l'argomento è sempre la strage Falcone-Borsellino, legata alla più grossa azienda ecologica in Romania», è la frase da lei scritta intercettata dalla Dia di Caltanissetta qualche tempo fa) e suo marito Romano Tronci - sono loro due, sembra ad avere il compito di tenere le fila delle comunicazioni tra Palermo e Bucarest - sono tutti sono indagati dai pm Delia Cardia e Antonietta Picardi (il provvedimento è firmato anche dal capo della procura Giuseppe Pignatone) per concorso in riciclaggio.



Nella lista degli indagati e dei soggetti perquisiti c'è anche Nunzio Rizzi, nato in Belgio e presidente della Ecovision, la società di diritto lussemburghese che sta trattando da mesi l'acquisto della discarica in Romania: le due aziende avevano deciso di perfezionare la vendita entro il prossimo 30 novembre, grazie anche ai finanziamenti che dovevano arrivare grazie all'intermediazione di altri due imprenditori coinvolti nell'affare: Gabrio Caraffini (di recente arrestato per bancarotta fraudolenta in un'altra inchiesta) e il napoletano Claudio Imbriani (che ha precedenti - ricordano i pm di Roma - per associazione a delinquere finalizzata alla truffa.



I carabinieri hanno svolto per mesi attività di intercettazione e pedinamento, filmando incontri e ricostruendo i dettagli della (tentata) operazione di riciclaggio. 



Gli indagati ora rischiano grosso. «Basta! Questa cosa ormai è fatta, e nessuno può tirarsi indietro», diceva Sergio Pileri a Santa Sidoti. Le cose non sono andate come loro speravano.