giovedì 7 luglio 2011

MESSINA: La mafia delle discariche spiegata dal pentito Bisognano.

Il sistema della “messa a posto” e i rapporti con imprenditori e sindaci tra Mazzarrà Sant’Andrea e Tripi. Quando “organizzò” tutti i lavori per ricostruire la galleria Scianina.


Il redditizio business mafioso dei rifiuti nella nostra provincia spiegato in prima persona dal boss dei Mazzarroti Carmelo Bisognano, che racconta anche i retroscena dell’omicidio Rottino, il sistema della “messa a posto”, le tangenti del 2% sulle forniture di inerti, i rapporti con imprenditori e sindaci tra Mazzarrà Sant’Andrea e Tripi, le pressioni per turbare le gare d’appalto, il ruolo dei suoi affiliati più stretti. C’è questo e tanto altro nei verbali inediti depositati dalla Procura antimafia al processo “Vivaio”, chiave di volta prima investigativa e adesso giudiziaria delle dinamiche mafiose di Cosa nostra barcellonese. Uno scenario che è stato ulteriormente aggiornato dalle recentissime e fondamentali inchieste “Gotha” e “Pozzo II”. Si tratta di un lungo faccia a faccia che in un carcere siciliano il boss Carmelo Bisognano da quando è divenuto un collaboratore di giustizia fondamentale per la Procura, ha avuto con il sostituto della Distrettuale antimafia di Messina Giuseppe Verzera e gli investigatori del Ros dei carabinieri in epoca recentissima, l’11 maggio scorso, con accanto il suo difensore, l’avvocato Maria Rita Cicero.

LA DISCARICA DI MAZZARRA’ SANT’ANDREA - Ha raccontato molte cose Bisognano, partendo dal 2000 quando «… ritengo nel secondo semestre, venne erogato un finanziamento di circa 2 o 3 miliardi complessivi dal Comune di Mazzarrà Sant’Andrea per la realizzazione di una discarica comprensoriale sempre a Mazzarrà che doveva sorgere su quella vecchia». E prima di allora «… nella vecchia discarica… gestita dall’impresa dei fratelli Sottile non è mai stata mai oggetto di attenzioni da parte del mio gruppo». E quando si trattò si indire la gara per la gestione del “nuovo corso” «… parteciparono 14 o 15 imprese e l’appalto venne aggiudicato all’Ati costituita dalla CA.TI.FRA. di Calabrese Tindaro e dalla Costanzo di S. Domenica Vittoria o Randazzo. Il presidente della commissione è il tecnico comunale geom. Ravidà Roberto. Dopo l’aggiudicazione sorsero dei problemi nel senso che la impresa MDM di Emanuele Caruso, anch’essa concorrente, intendeva impugnare l’aggiudicazione; di ciò venni informato dal Ravidà e da Renzo Mirabito, consulente ambientale del comune di Mazzarrà Sant’Andrea i quali chiesero un mio intervento, nella qualità di referente della mia organizzazione, per evitare il ricorso amministrativo della MDM in quanto al Comune ed anche a noi interessava che l’aggiudicazione all’Ati di cui ho detto fosse mantenuta». Quindi ecco “l’intervento”: «… Mi rivolsi a “Sem” Di Salvo sia perché doveva essere informato di questa vicenda ma soprattutto perché egli aveva contatti diretti con i catanesi. Di Salvo mi fissò un incontro a Barcellona con Emanuele Caruso sulla strada che costeggia il torrente Longano vicino ad una fabbrica di infissi. Dissi al Caruso che quell’appalto interessava noi ed egli rispose senza indugio che non avrebbe fatto alcun ricorso anzi, se avesse saputo prima ciò, non avrebbe neppure presentato offerta. L’impresa Caruso era una di quelle che si era accordata con altre per le turbative d’asta». In un altro passaggio sulla discarica, il pentito Bisognano spiega che «… l’impresa di Rotella Michele esegue le forniture di cemento ed i lavori di movimentazione terra in quanto aveva pregressi rapporti imprenditoriali con la CA.TI.FRA. ed anche perché gli impianti erano vicini alla discarica ed era persona a noi gradita in quanto già sottoposto ad estorsione dal 1989 e pertanto non era necessario alcun intervento su di lui per costringerlo a pagare il “pizzo”. Debbo sul punto specificare che Mirabito è stato nominato consulente ambientale dal Comune di Mazzarrà dal prof. Giambò Sebastiano detto “Nello” e, pertanto, era sua espressione; il Giambò, pertanto, era anche lui favorevole all’aggiudicazione dell’appalto alla CA.TI.FRA. - Costanzo perché avrebbe ottenuto consenso elettorale, assunzione di parenti o amici ed altro». E a quando si trattò di iniziare i lavori della discarica «… poiché il quantitativo di terra da asportare era enorme, circa 20 mila metri cubi, Rotella fece lavorare tutte le nostre imprese. Una volta ultimata l’opera la gestione venne affidata alla ditta Sangermano il cui amministratore delegato è Giuseppino Innocenti; questa ditta ottenne questo incarico sempre tramite Renzo Mirabito ed il prof. Giambò, per come mi venne detto dallo stesso Giambò e da Ravidà. L’amministrazione comunale non si è opposta». Poi iniziò la fase del «conferimento dei rifiuti da parte dei Comuni della Provincia di Messina», e «alcune ditte tra cui quella di Truscello Teresa (all’epoca conviveva con il Bisognano, n.d.r.) presentarono offerte alla Sangermano per il conferimento di materiale vegetale necessario alla copertura dei rifiuti. L’offerta della Truscello non venne presentata alla ditta Sangermano bensì consegnata direttamente dalla Truscello all’ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà nella persona del geom. Ravidà. Ottenemmo la fornitura sulla base di ordini di fornitura periodicamente emessi dalla ditta».
“AFFARI LUCROSI” - Un passaggio del verbale è dedicato da Bisognano al “dopo Mazzarrà”, quando cioé «esaurita la discarica comprensoriale di Mazzarrà Sant’Andrea entrò in funzione quella di Tripi che venne affidata dalla Prefettura di Messina alla ditta Giano Ambiente che, per quelle che sono le mie conoscenze, ottenne la disponibilità, anche se non immediata, dall’impresa di Rotella Michele per i lavori di sbancamento». E racconta anche che quando Tripi stava per saturarsi «… venne realizzato un progetto, priam ancora che fosse stato dato incarico formale dall’amministrazione comunale , per la costruzione di altra discarica sempre a Mazzarrà. Questo progetto venne effettuato dall’ing. Baiano per conto della Tirreno Ambiente che già era subentrata alla Messina Ambiente nella gestione della discarica di Tripi. In questo progetto erano già state individuate le aree dove doveva sorgere la discarica prima ancora che, come detto, l’amministrazione deliberasse. Io stesso vidi il progetto negli uffici del Comune. Tutto ciò venne concepito da Giambò, Rotella, Innocenti e Ravidà. Nell’area interessata alla nuova discarica ricadevano dei fondi di Rotella Michele il quale, in previsione, ne acquistò degli altri destinati ad uliveto che sarebbero stati oggetto di espropri». Delinea poi un quadro delle intenzioni: «… La costituzione della Tirreno Ambiente avvenne su iniziativa del prof. Giambò e Innocenti Giuseppino che ravvisavano nello smaltimento dei rifiuti affari molto lucrose anche per le pregresse esperienze dell’Innocenti. La società, inoltre, riceve le somme che a titolo di indennizzo spettano al Comune ed agli altri Enti Pubblici che tratteneva per lungo tempo maturando enormi interessi e beneficiando comunque di liquidità». Nuccio Anselmo - GDS
Quando “organizzò” tutti i lavori per ricostruire la galleria Scianina
In altre pagine del lungo verbale il pentito Bisognano racconta dettagliatamente della pressione mafiosa per la ricostruzione della galleria Scianina che crollò nel 2001: «… l’impresa incaricata dei lavori era la IRA Costruzioni. Per i lavori di fornitura dei materiali era stato raggiunto l’accordo che la CO.GE.CA. dei fratelli Torre avrebbe dovuto fornire gli inerti per il conglomerato cementizio relativo alla costruzione della galleria della ferrovia. La ricostruzione della collina Scianina – racconta Bisognano –, doveva essere affidato alla Feira. Per la fornitura di quest’ultimo lavoro era necessario circa un milione di metri cubi di materiale: decisi di ripartire le forniture tra la CO.GE.CA. dei fratelli Torre amministrata da Buemi Giuseppe, VE.NU.MER., Mediterranea Costruzioni di Venuto Giacomo e tra un gruppo di autotrasportatori barcellonesi riconducibili alla nostra organizzazione». Poi il boss dei Mazzarroti parla di cifre: «… il prezzo della fornitura era circa 8 euro a metro cubo, prezzo che era lo stesso già in precedenza praticato dalla IRA. La scelta su queste imprese risiedeva nella circostanza che le stesse avevano disponibilità di materiali, mezzi e strutture in grado di far fronte agli impegni presi ed anche perché erano le uniche competitive in zona. La tangente prevista era del 2% dell’importo dei lavori mentre i fornitori degli inerti dovevano pagare non ricordo esattamente se 50 centesimi o 1 euro al metro cubo… le ditte che avrebbero dovuto eseguire le forniture erano già “messe a posto” nel senso che sapevano perfettamente che avrebbero dovuto pagare il pizzo nella misura di cui ho detto».(n.a.)
Rottino ucciso per «mandarmi un messaggio preciso»
Una pistola 7,62 per 25 Tokarev di fabbricazione sovietica «che faceva parte di uno stock di armi acquistate in Calabria da Rottino Antonino dalla famiglia Mazzaferro». Ecco l’arma che servì per uccidere “Ninì” Rottino alle 3 di notte del 22 agosto 2006 a Mazzarrà Sant’Andrea, davanti casa sua. Un’arma che la stessa vittima, tempo prima aveva comprato in Calabria. È questa un’altra clamorosa rivelazione del pentito Bisognano contenuta nel verbale del maggio scorso, in cui parla anche in maniera molto chiara del contesto definendo questa esecuzione come un chiaro messaggio alla sua persona: «… per quanto riguarda l’omicidio Rottino posso dire che già dall’anno 2003 il Munafò Aldo Nicola aveva in animo di ucciderlo, cosa che non riusciva a fare perché non aveva il permesso di nessuno. Nel momento in cui sorgono contrasti tra Calabrese Tindaro e Rottino Antonino dopo la mia carcerazione del 2003 sostanzialmente aveva piena facoltà decisionale. Preciso che dopo il mio arresto il Calabrese aveva preso le redini dell’organizzazione e teneva i contatti con gli altri esponenti della criminalità organizzata siciliana, cosa che faceva anche da prima su mia richiesta». Tornando all’argomento armi, quelle acquistate in Calabria da Rottino, Bisognano spiega che «… erano detenute da Calabrese Tindaro; l’utilizzo di questa arma non è stato casuale, bensì un messaggio rivolto al mio indirizzo per farmi capire che erano stati loro ad uccidere una persona a me vicina». Quindi Bisognano, uscito dal carcere nel 2008, chiese spiegazioni: «… quando nell’anno 2008 venni scarcerato chiesi lumi su questo omicidio a Barresi Filippo il quale mi disse che esecutori materiali del delitto furono Fumia Enrico e Munafò Aldo Nicola. Sono comunque certo che il mandante dell’omicidio è stato Calabrese Tindaro sia per l’utilizzo dell’arma che era nella sua disponibilità sia perché il Calabrese aveva preso il mio ruolo all’interno dell’organizzazione». Secondo la prima ricostruzione investigativa l’eliminazione di Rottino sarebbe stata programmata nel corso di una riunione che si svolse in un’officina meccanica di contrada Manno a Barcellona, appartenente a Santo Santoro. A questa riunione, secondo quanto ricostruirono all’epoca i carabinieri del Ros, che avevano collocato una microspia sulla jeep di Tindaro Calabrese, avrebbero partecipato lo stesso Calabrese, il suo socio Carmelo Salvatore Trifirò “carabedda”, il mazzarroto Roberto Martorana e i rappresentanti del clan etneo dei Santapaola, i catanesi Alfio Giuseppe Castro, Concetto Bucceri, e lo stesso Santo Santoro. La causale della morte di Rottino anche secondo Enzo Marti, il geometra “forestiero” che per un periodo lavorò alla discarica e poi fece clamorose dichiarazioni su tutto quello che sapeva, è da ricercare nella sua fedeltà al boss Carmelo Bisognano durante la lunga permanenza in carcere proprio del Bisognano, rinchiuso a L’Aquila in regime di carcere “duro”. In quella fase storica quindi, con il boss in cella e gli interessi economici “trasferiti” alla sorella Vincenza, la posizione di Rottino rimase a fianco del gruppo mentre si fece strada l’ascesa di Tindaro Calabrese che, come ha riferito lo stesso Marti “non voleva aspettare Bisognano” («… non vuole sentir parlare assolutamente di aspettare la liberazione di Carmelo Bisognano»). La mancata partecipazione ai funerali di Rottino da parte di Calabrese cominciò ad insinuare un tarlo nei familiari della vittima, che capirono contesto e mandanti dell’esecuzione. Proprio Marti, ripercorrendo tutta la sua storia davanti alla corte d’assise ha raccontato cosa gli disse Rottino qualche tempo prima di morire, quando gli aveva manifestato l’intenzione di eseguire alcuni omicidi eccellenti per non soccombere, un proposito poi abbandonato: «… vedi che non facciamo quello che io ho preordinato ma chiaramente ricordati quello che ti dico, ricordatelo bene nella mente, tu non conosci la Sicilia, ancora non vuoi capire come funzionano le cose in Sicilia, ricordati che avremo problemi entrambi».(n.a.)