venerdì 30 marzo 2012

Vivaio, arrestati Nello Giambò e Michele Rotella

A Munafò (ergastolo) ordinanza consegnata dietro le sbarre. Polemica sindaco di Furnari-TirrenoAmbiente 


Riccardo D'Andrea
Tratto da Gazzetta del Sud del 30/03/2012

messina
Tintinnano le manette dopo la sentenza di primo grado dell'operazione antimafia "Vivaio". Il primo arresto eccellente riguarda Sebastiano Giambò, 64 anni, già presidente del Consiglio di amministrazione della società per lo smaltimento dei rifiuti "TirrenoAmbiente spa", nonché ex sindaco di Mazzarrà Sant'Andrea, comune del quale è originario.
All'alba di ieri, i carabinieri della Sezione anticrimine di Messina, in stretta collaborazione con i militari dell'Arma della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto e di Messina, hanno dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa mercoledì sera dalla Corte d'assise di Messina, su richiesta dei pubblici ministeri Giuseppe Verzera, della Direzione distrettuale antimafia peloritana, e Francesco Massara, della Procura della Repubblica della città del Longano.
Il "professore" Giambò deve scontare 14 anni di reclusione, poiché ritenuto colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Analogo provvedimento è stato notificato a Michele Rotella, 72 anni, imprenditore barcellonese, al quale sono stati inflitti 12 anni di reclusione per associazione mafiosa, previa riqualificazione dello stesso reato nell'ipotesi di concorso esterno.
L'ordinanza contro Aldo Nicola Munafò è stata recapitata direttamente in carcere, dove il quarantaquattrenne, nato a Tripi ma residente a Mazzarrà Sant'Andrea, è rinchiuso per omicidio dall'agosto del 2006. In base alla sentenza "Vivaio", dovrà espiare l'ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi, in quanto ritenuto colpevole di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, detenzione e porto di armi comuni da sparo.
Il "day after" il verdetto letto dal presidente del collegio giudicante, Salvatore Mastroeni, spazio anche alle reazioni. Il comitato regionale siciliano di Legambiente "saluta" con soddisfazione la «prima sentenza nell'Isola che certifica l'ingerenza della mafia nell'affare dei rifiuti». In un comunicato, viene ricordato come il processo Vivaio non abbia «precedenti», anche perché «andato a sentenza in tempi brevi». E ancora: «L'esito del dibattimento ha confermato l'impianto accusatorio sostenuto dalla Dda di Messina che, insieme ai carabinieri del Ros, ha svolto un lavoro esemplare. Alle loro indagini va il merito di aver svelato il complesso meccanismo di affari che ruotavano intorno alla discarica di Mazzarrà Sant'Andrea e alla gestione dei rifiuti speciali».
Legambiente aggiunge che per la prima volta, in un processo per mafia, viene sancito un risarcimento per le associazioni ambientaliste (la provvisionale per Legambiente Sicilia è di 50 mila euro). «Si tratta di un risultato importante», commenta Tiziano Granata, responsabile dell'Osservatorio regionale sulle ecomafie di Legambiente Sicilia. Perché si riconosce l'attività svolta dall'associazione «in termini di analisi, controllo e contrasto rispetto ai reati ambientali e in particolare al fenomeno delle ecomafie. Proprio la presenza di Legambiente all'interno del processo, rappresentata e difesa al meglio dall'avvocato Aurora Notarianni, componente del Centro di azione giuridica Legambiente Sicilia, presieduto dall'avvocato Nicola Giudice, ha permesso d'inquadrare il "modus operandi" della cosca mafiosa di Mazzarrà all'interno del sistema rifiuti».
Non le manda a dire il sindaco di Furnari, Mario Foti, che affida il suo commento a una nota stampa. Le sentenza emessa nel procedimento penale "Vivaio" evidenzia come la presenza della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea abbia «causato gravissimi danni tangibili e ancora permanenti all'ambiente e alla popolazione del comune di Furnari e dell'intero territorio, oltre che condizionato la consultazione elettorale svoltasi a Furnari nell'anno 2007». Ricordando che la struttura «è servita anche ad alimentare gli illeciti introiti della criminalità organizzata e delle imprese ad essa collegate», il primo cittadino sollecita l'Autorità giudiziaria e gli investigatori a «mantenere alta l'attenzione sull'attività dell'impianto della discarica gestito dalla TirrenoAmbiente, la cui presenza, oltre ai nefasti effetti sull'ambiente e sul territorio, è motivo per la criminalità organizzata di possibili ulteriori illeciti guadagni». Accuse al vetriolo alle quali l'azienda risponde a stretto giro: «Ringraziamo l'avvocato Foti, che con il suo comunicato ha ribadito quanto già da noi richiesto all'Autorità giudiziaria, ovvero un'azione di vigilanza sul territorio e su chi ci sta attorno». Poi viene girata la frittata: «Siamo altresì certi che con la stessa attenzione l'avvocato Foti vigilerà affinché nel Comune da lui amministrato non si ripetano, come nell'ultimo periodo, fenomeni d'infiltrazione mafiosa tristemente noti».
L'operazione "Vivaio", scattata il 10 aprile 2008, ha inferto un duro colpo ai mazzarroti, costola della famiglia dei barcellonesi, con forti interessi negli appalti pubblici, tra cui i lavori per la metanizzazione dei Nebrodi e il raddoppio ferroviario della tratta Messina-Palermo. Tra le priorità, anche la gestione delle discariche dei rifiuti solidi urbani e speciali della provincia peloritana. Il processo, caratterizzato da circa 60 udienze, ha avuto inizio nell'estate 2009. In primo grado, inflitti circa 130 anni di reclusione: pena più severa, carcere a vita, per Aldo Nicola Munafò. Mano pesante anche nei confronti del boss Tindaro Calabrese (24 anni), di Alfio Giuseppe Castro (15 anni), Sebastiano Giambò, Agostino Campisi e Nunziato Siracusa (14 anni ciascuno), Salvatore Trifirò e Michele Rotella (12 anni), Carmelo Bisognano (10 anni a testa) e Salvatore Campanino (8 anni). Pena più lieve, 2 anni, per Bartolo Bottaro, Antonino Calcagno, Aurelio e Cristian Giamboi, Thomas Sciotto e Giuseppe Triolo. Assolti, invece, Stefano Rottino, Giacomo Lucia, Salvatore Fumia e Maria Coppolino.